Un’eredità scomparsa, un figlio rapito, un segreto pericoloso. Lei era la sua ossessione. Mian Ross farebbe di tutto per proteggere suo figlio, e quando capisce di non avere altra scelta, fa la cosa più pericolosa che esista: incrociare di nuovo il cammino di Angel Knight. Stavolta per derubarlo. Lui era il suo peggior incubo. Un uomo tanto potente quanto vendicativo come Angel non può tollerare che una ladruncola affamata gli sottragga qualcosa di così prezioso. Neanche se a farlo è Mian. Una ragazza che molto tempo prima aveva protetto e tenuto al sicuro, la ragazza che si era trasformata nella sua più grande ossessione. Ma stavolta non la farà franca e il prezzo di questa lezione sarà altissimo. Niente è ciò che sembra. Serie: Stolen Duet #1 Editore: Always Publishing Editore Genere: Dark Romance Data di pubblicazione: 26 Aprile 2018 |
BANDIT B.B. REID È con immenso piacere che oggi vi mostro un ESTRATTO ESCLUSIVO del primo romanzo de Il Duetto Rubato firmato B.B. Reid! Questa autrice sarà presente anche al RARE, che si terrà il 23 giugno a Roma e al quale anch'io parteciperò ;) Non perdetevi anche altri due succulenti estratti su Tra le braccia di un libro (già online!) e su Vaniti Romance (online il 24 aprile!) |
Prenditela con uno della tua taglia MIAN – Otto anni prima Le mani graffiate mi pendevano mollemente contro i fianchi, mentre zoppicavo verso casa mia. No. Non era casa mia. Era solo il posto dove mio padre mi aveva scaricata così poteva andarsene a rubare e a dare la caccia alla gente ricca in giro per il mondo con zio Art. In alcuni giorni mi chiedevo perché gli volessi ancora bene, nonostante il suo bisogno di tenermi a distanza. Mi ero ridotta dall’essere la sua persona preferita con cui passare il tempo, a un obbligo che veniva a controllare le volte che si ricordava che non ero morta insieme a mamma. Quando raggiunsi la casa di arenaria, pescai le chiavi dalla tasca. La stoffa ruvida dei miei pantaloncini sfregava contro le mani ferite, e sibilai per il dolore pungente. Le mie ginocchia, così come il labbro spaccato, erano messe altrettanto male per l’impatto con il suolo quando ero caduta. Girai la chiave nella serratura e spinsi per aprire la porta, ma quella non si mosse. Girai di nuovo la maniglia, ma la porta si rifiutava di smuoversi e realizzai che il chiavistello superiore doveva essere stato girato. Il disgusto mi fece dimenticare le mani e le ginocchia graffiate. Lui era lì dentro. Con una ragazza. Chiudeva sempre il chiavistello per tenermi fuori, quando si stava intrattenendo con qualcuna. Che schifo! Tranne per il fatto che non faceva schifo. Angel Knight era sexy – un fatto che non si poteva negare. Nemmeno io potevo. Solo, non sarei mai riuscita a capire perché il pensiero di lui con le ragazze mi facesse rivoltare lo stomaco. Sospirando, mi misi a sedere sui gradini dell’ingresso e aspettai che finisse. Un’ora dopo, la porta si aprì e ne uscì una bionda tutta gambe con un sorriso soddisfatto. Mi girai appena in tempo per vederla sporgersi per un bacio di addio, e morii di imbarazzo quando sentii le loro labbra incontrarsi. Un profondo gemito arrivò da dietro la porta, e il bacio continuò. Dopo tre minuti di incollamento di labbra ininterrotto, decisi che ne avevo avuto abbastanza. Tossii e tossii ancora, finché non mi ritrovai a fingere di strozzarmi, finché alla fine non ottenni la loro attenzione. «Calmati, Tettine. Abbiamo finito». Sentii la sua risata appena prima che sparisse di nuovo in casa, senza nemmeno farsi vedere. Lanciai un’occhiataccia alla bionda che praticamente stava saltellando lungo marciapiede. Balzai su con uno sbuffo, ma sussultai quando le ginocchia mi ricordarono delle mie ferite. Dopo essere entrata, mi fermai di colpo quando lo trovai ad aspettarmi lì in piedi, con uno sguardo annoiato. «Cosa c’è?» «Cos’è successo al tuo labbro?» Il suo tono rifletteva la sua espressione, finché il suo sguardo non scese e si soffermò sulle ginocchia sbucciate. «Accidenti, sei caduta?» Occhi marrone scuro mi osservarono con curiosità. «Puoi dirlo forte». Evitai il suo sguardo e gli girai intorno, sempre zoppicando. Nel bagno di sopra c’era un kit del pronto soccorso di cui avevo disperatamente bisogno. «Stronzate. Le hai prese, vero?» Sentii la sua risata di scherno. Era più vicina di quanto avrebbe dovuto essere, visto che io mi ero allontanata, il che significava che mi stava seguendo. «Come si chiama lei?» Mi fermai in cima alle scale e mi voltai di scatto a guardarlo. «Jesse Newman. E non è una ragazza». Il sorriso sulla sua faccia sparì più velocemente di quanto era apparso. «Cos’hai detto?» «È perfino più cattivo di te. Lo odio». Ti odio. «Mi stai prendendo per il culo, vero?» «No». Mi girai e zoppicai per il resto del corridoio fino al bagno. Con la coda dell’occhio riuscivo a vedere che era ancora in piedi in cima alle scale. Stupidamente, incontrai il suo sguardo. Decisamente non stava più ridendo. Il mattino dopo varcai la porta principale col terrore di andare a scuola. La sera precedente mi ero bendata i palmi e le ginocchia, mi ero medicata il labbro spaccato meglio che avevo potuto e mi ero sforzata di fare i compiti. Dopo avergli detto che ero stata picchiata da un ragazzo, Angel non aveva emesso più un fiato. Era arrabbiato perché non era l’unico a trarre piacere dal rendermi infelice? Angel non mi era mai sembrato il tipo che amasse condividere. Trovai l’oggetto dei miei pensieri in piedi in fondo alle scale, che indossava una maglietta bianca aderente, pantaloncini neri e un cipiglio. «Ce ne hai messo di tempo». Mi stava veramente aspettando? «Mi stavi aspettando?» Il cervello mi gridava di muovermi, ma i piedi si rifiutavano di obbedire. «Da cosa l’hai capito?» Chinò la testa di lato come se si aspettasse davvero una risposta. «Perché?» «Ti accompagno a scuola». «Perché?» «È l’unica parola che conosci?» «Okay… per quale motivo?» «Muoviti e basta» tagliò corto mostrando tutta la sua impazienza. Cinque passi veloci dopo, ero accanto a lui. Alzare gli occhi al cielo non mi aveva fatto sentire per niente meglio, perciò guardai in su con un sopracciglio alzato – Dio, se era alto – e aspettai. Cominciò a camminare, e io lo seguii. Percorremmo il tragitto di quindici minuti in dieci, lui grazie alle sue lunghe falcate, io praticamente correndo per tenere il passo. Non mi aveva mai accompagnata a scuola prima, anche se si supponeva che dovesse proteggermi. Non era un segreto che non riuscivamo a sopportarci, perciò limitavamo il tempo da passare insieme. Ogni tanto lui mi dava il tormento, e io lo spifferavo a mio padre per metterlo nei guai. Questo era il massimo delle nostre interazioni. Il cortile della scuola era già pieno di ragazzi che scendevano dalle macchine e dagli scuolabus per affrettarsi dentro l’edificio. Qualcuno bighellonava lì attorno con l’intenzione di svignarsela non appena gli insegnanti e i genitori si fossero girati. Jesse Newman sarebbe stato uno di loro. Forse sarebbe rimasto nei dintorni ad aspettare per darmi un secondo round di calci in culo. Avevo provato a reagire, ma era troppo grande per me, e gli altri ragazzini avevano continuato a incitarlo. Non avevo nemmeno Erin accanto ad aiutarmi. Non che lo avrebbe fatto. Sarebbe stata ancora più spaventata di me. Jesse aveva preso a fare il bullo con me dopo che gli avevo impedito di riempire di botte un ragazzino che se l’era svignata appena Jesse gli aveva dato le spalle. Grosso errore. Senza nessun altro da prendere a pugni, ne aveva rifilato uno forte a me, e mi aveva chiamata fichetta impicciona. Alcuni ragazzi avevano riso e lo avevano incoraggiato, mentre altri erano rimasti in disparte troppo spaventati per dire qualcosa o persino chiamare aiuto. Quando il suo pugno si era abbattuto sul mio labbro, ero finita a terra. Mi ero rialzata per affrontarlo, ma qualcuno mi aveva spinta da dietro, così caddi ancora in avanti. Mi ero procurata i graffi in questo modo. Il signor Phillips, il mio insegnante di matematica, alla fine aveva notato il trambusto e si era precipitato lì. Jesse e la sua banda non avevano perso tempo a togliersi dai piedi. Non volevo una replica il giorno dopo perciò, quando l’insegnante me l’aveva chiesto, avevo detto di essere caduta, me ne ero andata a casa zoppicando prima che mi potesse fare altre domande. «Lo vedi?» Alzai subito la testa per incontrare lo sguardo duro di Angel. «Vedere chi?» «Jesse» rispose a denti serrati. Ingenuamente, scrutai tra la folla finché il mio sguardo non cadde sui capelli biondi e la faccia tozza di Jesse Newman. Angel seguì il mio sguardo e, nel giro di un secondo appena, si stava già dirigendo verso di lui. Oh. Corsi per stargli al passo, anche se sapevo che non sarei stata in grado di fermarlo. Jesse e due dei suoi scagnozzi se ne stavano sul lato dell’edificio, lontano dalla folla e dagli insegnanti, impegnati a spintonare lo stesso ragazzo del giorno prima. Immaginai gli piacesse cominciare presto, per tenersi in pari con la loro quota giornaliera. Jesse indossava la felpa blu stinta, segno di riconoscimento che portava sempre, anche col caldo, anche se che lo faceva puzzare di rancido. Non pensavo sapesse nemmeno cosa fosse, il deodorante. Stando ai pettegolezzi, i suoi genitori non solo erano poveri, ma anche violenti. Probabilmente usava la sua grossa stazza contro i compagni per sentirsi meglio e per rubare i soldi del pranzo per poter mangiare. Dopo il giorno prima, però, mi era difficile compatirlo. «Sei tu Newman?» Domandò Angel quando fummo abbastanza vicini. «Chi lo vuole sapere?» Rispose Jesse, facendogli il verso. Questo, prima che alzasse lo sguardo. Provai grande piacere nel vedere gli occhi uscirgli fuori dalle orbite. «Ti conosco?» «Vuoi conoscermi?» |
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